sabato 11 settembre 2010

11 settembre 2001

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Quel pomeriggio ero a casa. Non ricordo chi accese il televisore e come fu che ci trovammo, io e mio fratello, entrambi ipnotizzati a guardare quelle immagini incomprensibili e mute, perché non c’era alcun commento in sottofondo.
La scena del secondo aereo che arrivava e si schiantava in obliquo sul secondo grattacielo mi colpì come uno spintone ricevuto senza preavviso, facendomi oscillare su me stessa.
Quando realizzai cosa stava succedendo, mi prese l’angoscia e il mio primo pensiero fu: “Cosa combineranno gli Americani, adesso?”
Perché era chiaro che non se ne sarebbero rimasti lì a far nulla, dopo un evento del genere.
Mi tornò in mente la Guerra del Golfo, il panico diffuso e serpeggiante, la gente che svuotava i supermercati. Era successo quando ancora ero studentessa, e c’era la Leva obbligatoria e i miei compagni di corso per un po’ si erano chiesti se i governi in guerra li avrebbero lasciati proseguire gli studi o li avrebbero chiamati nell’Esercito, e certo questa possibilità non li rendeva molto allegri.

Eh, si, lo ammetto. Guardando quel macello in televisione, il fumo, la cenere, la distruzione, non pensai più di tanto a quei poveracci che stavano morendo in quel momento, ma a tutti quelli che sarebbero morti in seguito, e sarebbero stati tanti, e questo era poco ma sicuro.

Il giorno dopo avevo riunione a scuola, una delle tante riunioni preliminari che si fanno prima dell’inizio dell’anno scolastico. Ci andai portandomi dietro tutta l’ansia e l’angoscia e la preoccupazione e con l’idea che mi si era fissa in testa, che qualcosa era cambiato per tutti, in tutto il mondo, dopo quel giorno, e si sentiva nell’aria come la vibrazione che resta dopo il suono profondo di un gong.

Io almeno, la sentivo.

Così fui molto sorpresa nel constatare che c’era gente che non la sentiva affatto, il Preside e il Direttore della scuola privata in cui insegnavo allora non fecero nessun accenno, nessun commento all’accaduto, nemmeno una battuta da bar, niente.
Io e il collega di lettere ci guardammo, scambiandoci lo stesso sguardo angosciato, poi nulla. Parlammo delle solite cose, quelle di cui si parlava anno dopo anno, alle solite riunioni, programmi, orari, decisioni ogni volta già prese, ma di cui occorreva rinnovare il rito della discussione. Tutto intorno a noi poteva crollare, ma la nostra scuola ribadiva e stabiliva che:

Le lezioni si svolgono dal lunedì al sabato compresi, dalle ore 7.45 alle 13.15. L’orario si articola in 36 ore settimanali e prevede 6 unità didattiche giornaliere di 50 minuti, oltre all’intervallo dopo la terza ora.


Massì… ancora pochi giorni e sarebbe ricominciata la scuola. Una scuola efficiente, organizzata, in cui si curavano gli obiettivi didattici ed educativi, e i genitori, come ogni anno, dovevano essere contenti di averla scelta per i propri figli. In fin dei conti, non c’era nient’altro che importasse.

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3 commenti:

  1. Il video di inedito credo abbia solo il montaggio e la musica di sottofondo. Le abbiamo viste tutti quelle scene, tutte quante e più di una volta. Ma riescono a impressionarmi ancora.

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  2. Io quelle immagini non le voglio più rivedere.. Quel giorno ero ancora in vacanza, la scuola sarebbe ricominciata di lì a poco. Mia mamma mi disse di accendere la tv. Terribile. Ero piccola, 9 anni fa. Capivo e non capivo. E guardavo queste immagini atroci alla tv, vedevo questi puntini neri cadere dalle torri e mi dicevo: "Sono detriti, macerie. Non sono persone." Nel pomeriggio mi sono come sempre ritrovata al bar con i miei amici. Ma non era come tutti gli altri pomeriggi. Lo sentivamo anche noi, che eravano poco più che bambini, che c'era qualcosa che non andava. Se ci ripenso mi viene l'ansia.

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  3. Io ero al lavoro. Si sentivano (si leggevano) solo poche riche nei comunicati Ansa su internet.
    Avevo paura. Terrore. Pe i miei figli, la mia famiglia, la mia vita. Non capivo esattamente cosa stava succedendo, ma la gravità era palpabile ed, egoisticamente, pensavo alla mia vita e alla ia famiglia che, inquel momento, erano lontani da me.
    Arrivata a casa, sollevata dalla preoccupazione della lontananza, ho pianto. Con la consapevolezza del dramma.
    Susanna

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