mercoledì 18 aprile 2012

The love song of J. Alfred Prufrock (parte V) - ripubblicazioni

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C'è una persona che conosco da molto tempo, è una donna che ne ha passate tante, una donna che ha dei pregi non molto evidenti, e alcuni difetti ben visibili... ed oggi eravamo insieme, in un posto decisamente poco allegro, in una situazione difficile. 
E lei rideva.
Ha sempre fatto così. Ha affrontato lutti, malattie, disgrazie, maldicenze e dispiaceri di ogni tipo. L'ho vista ansiosa, nervosa, l'ho vista piangere tante volte.
Ma non ha mai perso l'ironia, il piacere alla battuta e allo scherzo, e la sua prorompente risata.
Una risata che è una barriera, me ne rendo conto, una difesa... ma anche la sua maniera di reagire ad una vita che ha tentato in mille modi di trafiggerla, di inchiodarla al muro, e che ancora ci prova, ogni santo giorno.
Oggi eravamo lì, in un reparto d'ospedale che fa venire in mente di tutto tranne che di ridere. E lei rideva, e ho riso anch'io. No, noi non sorseggiamo la nostra vita a cucchiaini da caffè. Non è davvero il nostro stile.
Ripubblico la V parte delle mie riflessioni su "The love song of J. Alfred Prufrock", e forse leggendola penserete che le risate di mia zia non c'entrino nulla con tutto questo. Ma invece c'entrano. Ognuno ha una maniera diversa per non farsi trafiggere, auguro a ciascuno di voi di trovare la propria.

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For I have known them all already, known them all:
Have known the evenings, mornings, afternoons,
I have measured out my life with coffee spoons;
I know the voices dying with a dying fall
Beneath the music from a farther room.
So how should I presume?

And I have known the eyes already, known them all--
The eyes that fix you in a formulated phrase,
And when I am formulated, sprawling on a pin,
When I am pinned and wriggling on the wall,
Then how should I begin
To spit out all the butt-ends of my days and ways?
And how should I presume?


Perché già tutte le ho conosciute, conosciute tutte: -
Ho conosciuto le sere, le mattine, i pomeriggi,
Ho misurato la mia vita con cucchiaini da caffè;
Conosco le voci che muoiono con un morente declino
Sotto la musica giunta da una stanza più lontana.
Così, come potrei rischiare?

E ho conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti -
Gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
E quando sono formulato, appuntato a uno spillo,
Quando sono trafitto da uno spillo e mi dibatto sul muro
Come potrei allora cominciare
A sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e delle mie abitudini?
Come potrei rischiare?


Quando a scuola ti fanno studiare le poesie, gli insegnanti si dimenticano di dirti che la poesia ha un potere, recondito, nascosto. Il potere di portarti “di là”, di svelare le cose sepolte in profondità, di mostrare la realtà in un modo diverso, ma vero, a volte più vero di quello che abbiamo tutti i giorni davanti al naso.
È lo stesso potere delle fiabe, dei quadri dei grandi pittori, dell’Arte più in generale.
Ma se tu vuoi vedere con gli occhi della Poesia, se vuoi sentire con le sue orecchie, non devi perderti nelle note a piè di pagina delle antologie. Non devi fissarti nei numeri e nelle date della vita degli autori, nei riassunti e nelle parafrasi. Perché quelli sono strumenti, mezzi, non il fine. Il fine è la Poesia stessa, e il suo messaggio non si può imparare a memoria.


È come trafiggere la farfalla sullo spillo…
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1 commento:

  1. A volte anche i commenti sono spilli, anche le parole degli altri diventano cucchiaini. peccato non poter pubblicare un sorriso, una carezza o uno sguardo. Oggi sei molto prossima alla poesiae quella non si può commentare.

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